L'inclusione sociale
Negli ultimi trent’anni, chi si è trovato ad operare all’interno del mondo della disabilità ha assistito al cambio di diverse parole d’ordine. Ognuna di esse ha simboleggiato il modo con cui si definivano le persone interessate (handicappate, diversamente abili, persone con disabilità) o il pensiero teorico ed operativo che muoveva le politiche e le azioni a favore delle persone. Così se negli anni ’70 la parola d’ordine era inserimento, alla fine degli anni ’80 si è passati a integrazione. Da pochi anni, in maniera piuttosto esplicita grazie alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità approvata nel 2007, abbiamo assistito ad un nuovo cambio: la nuova parola d’ordine è ora diventata inclusione.
Inizialmente questa scelta ha lasciato un po’ sconcertati, per il fatto che essa sembrava rappresentare un passo indietro rispetto al concetto di integrazione o forse perché richiamava la vecchia parola inserimento. Solo un’analisi attenta del concetto che essa rappresenta ha permesso di cogliere le potenzialità e la forza di questo cambio di prospettiva: essa riguarda tutte le persone e la condizione umana, la quale a sua volta può presentare difficoltà di vita e situazioni di disabilità.
Il concetto di inclusione conduce al riconoscimento di un diritto come forma di contrasto al suo opposto: l’esclusione. Porta ad affermare che le strategie e le azioni da promuovere devono tendere a rimuovere quelle forme di esclusione sociale di cui le persone con disabilità soffrono nella loro vita quotidiana: l'esperienza scolastica spesso vissuta ai margini della classe e non sempre supportata adeguatamente, l’abbandono scolastico, il mancato apprendimento di competenze sociali e di vita, l'esclusione dal mondo del lavoro, le esperienze affettive spesso relegate all’ambiente famigliare, una scarsa partecipazione alle attività sociali e di tempo libero.
Percorrere le strade dell’inclusione sociale significa sostanzialmente porre la questione della disabilità nella dimensione sociale del diritto di cittadinanza, perché riguarda tutti coloro che partecipano alla vita sociale all’interno di un determinato contesto: includere vuol dire offrire l’opportunità di essere cittadini a tutti gli effetti. Ciò non significa negare il fatto che ognuno di noi è diverso o negare la presenza di disabilità o menomazioni che devono essere trattate in maniera adeguata, ma vuol dire spostare i focus di analisi e intervento dalla persona al contesto, per individuarne gli ostacoli e operare per la loro rimozione.
Il fine è promuovere condizioni di vita dignitose e un sistema di relazioni soddisfacenti nei riguardi di persone che presentano difficoltà nella propria autonomia personale e sociale, in modo che esse possano sentirsi parte di comunità e di contesti relazionali dove poter agire, scegliere, giocare e vedere riconosciuto il proprio ruolo e la propria identità. È evidente che ciò richiede - in primis da parte delle istituzioni, delle diverse realtà e degli operatori che si occupano di disabilità – lo sforzo di acquisire un pensiero e un approccio mentale aperto al cambiamento e al superamento di un’ottica d’intervento centrata sulla relazione duale “operatore/utente”.
Il movimento delle persone con disabilità, abbandonando la strategia basata su obiettivi parziali (più servizi, più denaro per le pensioni e l’assistenza, ecc.) per impostare una nuova strategia basata sui diritti umani (uguaglianza, rispetto della dignità, non discriminazione, pari opportunità, coinvolgimento nelle scelte) ha ottenuto uno straordinario risultato: l’approvazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (New York – 13 dicembre 2006), ratificata nel 2009 anche dall’Italia.
Agire per la tutela dei diritti umani delle persone con disabilità significa considerare la disabilità non come una malattia (modello medico), ma come un rapporto sociale tra le caratteristiche delle persone e l’ambiente (modello bio-psico-sociale). Un modo di pensare sancito prima dall’OMS e poi dall’ONU nell’ art. 3 della Convenzione, dove tra i principi generali viene posta “la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società”.
Agire sul territorio, concretamente significa creare occasioni d’incontro, scambio, conoscenza, condivisione e dialogo in grado di coinvolgere le realtà del territorio attraverso proposte che sappiano creare le condizioni ideali per la costruzione di relazioni positive.
Vuol dire promuovere occasioni di inclusione sociale e di sensibilizzazione attraverso la costruzione di reti informali che coinvolgano in progetti concreti e di varia natura semplici cittadini, istituzioni, scuole, oratori, centri giovanili e centri per anziani, la cooperazione sociale, associazioni, gruppi informali, biblioteche. Ponendo l’accento non solo sulla condizione di disagio ma sulla ricerca di un benessere comune, proponendo esperienze partecipative: dall’organizzazione di momenti d’intrattenimento e socializzanti alla realizzazione di progetti comuni dove ogni partecipante può sperimentarsi in un ruolo attivo.
FONTE:http://www.anffasticino.it

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