Autismo: tre cose da sapere prima di iniziare una Terapia ABA.
Terapia ABA. Facciamo un po’ di chiarezza sull’approccio basato su questa scienza attraverso tre concetti principali da non sottovalutare. Scopriamo cosa devi sapere prima di iniziare una terapia ABA.
In questi ultimi anni, sono spuntati come funghi nuovi approcci per aiutare le persone con autismo, alcuni validi altri meno. Districarsi nella giungla delle informazioni relative a ciascun approccio è una vera e propria impresa: ognuno ha i suoi concetti base, le sue strategie, i suoi metodi, i suoi strumenti, i suoi materiali, ecc.
È facile andare in confusione e, a questo punto, diventa molto difficile scegliere a quale approccio affidarsi.
Prima di tutto: cos’è l’ABA?
L’ABA è l’acronimo inglese per Applied Behavior Analysis che in italiano traduciamo con Analisi del Comportamento Applicata.
L’ABA è una scienza nata negli Stati Uniti nel 1968 e ormai usata in tutto il mondo.
Si basa su un processo molto semplice:
studiare il comportamento scomponendolo in tutte le sue parti
capire in modo oggettivo quale conseguenza mantiene un determinato comportamento
e infine modificare le condizioni alla base di quel comportamento per promuovere i comportamenti positivi e ridurre quelli negativi.
Ciò che rende efficace l’ABA è la presenza di centinaia di procedure già testate sul campo che sono state validate scientificamente a livello internazionale e che è possibile prendere e personalizzare su un ragazzo per avere la certezza di ottenere un miglioramento.
Ora che vi siete presentati (tu e l’ABA), andiamo a vedere cosa devi assolutamente sapere prima di iniziare una terapia ABA per non comprometterne l’efficacia.
L’ABA non è interpretazione.
Spesso siamo portati a pensare “il bambino si comporta così perché è frustrato” oppure:
“urla perché è autistico”.
Queste spiegazioni sono mentalistiche ossia sono interpretazioni soggettive di un determinato comportamento.
Oltre al fatto che potrebbero essere false o troppo semplicistiche, queste interpretazioni fanno riferimento a processi interni alla persona che non siamo in grado di osservare in modo oggettivo.
L’ABA, invece, è osservazione oggettiva del comportamento.
Dunque ci “limiteremo” ad osservare il comportamento, analizzando anche le condizioni ambientali in cui avviene il comportamento (l’evento che avviene prima) e la conseguenza del comportamento (l’evento che avviene dopo). Tutto questo con il supporto di un esperto di ABA.
Solo con questi dati, saremo in grado di dare una spiegazione oggettiva del perché avviene quel comportamento. In altre parole, una spiegazione funzionale, cioè qual è la specifica funzione a cui risponde quel comportamento.
Attenzione. Questa funzione non l’avremo dedotta noi in modo arbitrario.
Infatti, l’ABA prevede delle regole precise con cui capire a quale funzione risponde un determinato comportamento.
Le funzioni principali del comportamento sono 4 e ne parliamo in questo articolo sui comportamenti problema.
Riassumendo: la spiegazione di un comportamento deve esserci, perché, prima di decidere se intervenire su un comportamento e come farlo, dobbiamo capire il motivo per cui la persona con autismo si comporta in un determinato modo.
Questa spiegazione, però, deve essere funzionale e non mentalistica: deve descrivere il comportamento in termini oggettivamente osservabili e deve far riferimento agli eventi che avvengono prima e quelli che avvengono dopo il comportamento stesso.
Hai un grande alleato chiamato “rinforzo”
Hai mai insegnato ad un bambino di 2 anni a fare la pipì nel vasino?
È un compito molto difficile perché il bambino fa da sempre la pipì nel pannolino e non gli viene in mente neanche per un secondo l’idea che si possa fare in un altro modo.
Per di più, non è in grado di capirne il perché.
Una strategia possibile è quella di utilizzare un biscottino, un gioco che a lui piace o qualsiasi cosa per lui appetibile, da consegnarli dopo che ha eseguito il compito: la pipì nel vasino.
Dopo un po’ di tempo, diventerà un fatto naturale e sarà il bambino che spontaneamente ti chiamerà per andare a fare la pipì nel vasino perché vuole il suo biscottino, il suo premio.
Possiamo dire che questo premio funziona come rinforzo per aumentare la frequenza del comportamento di andare a fare la pipì nel vasino.
Con l’ABA funziona esattamente allo stesso modo. Uso il rinforzo, un evento successivo ad un comportamento, che ha la proprietà di aumentare la frequenza del comportamento stesso.
Il rinforzo è uno strumento potente nelle nostre mani perché ci permette di insegnare senza obbligare ma coinvolgendo il bambino in vista di qualcosa che lui desidera. In altre parole, lavoriamo sulla sua motivazione, la voglia di ottenere il premio.
Quando mettiamo in atto una terapia basata sull’ABA cercheremo non solo degli oggetti appetibili con la funzione di rinforzo ma anche attività piacevoli con cui insegnare nuove abilità e faremo in modo che noi stessi possiamo essere percepiti come un rinforzo per il bambino.
Questo si fa attraverso il processo chiamato pairing.
Tutto deve essere misurato
La misurazione è un aspetto dell’ABA che non piace molto perché si tratta di raccogliere dati e si sa, i dati non sono molto simpatici.
È un processo lungo, faticoso e spesso noioso ma certamente indispensabile per la buona riuscita di una terapia.
Purtroppo, sono pochi a farlo e questo può essere davvero controproducente per una persona con autismo e, in alcuni casi, mandare a monte intere ore di terapia.
L’ABA è scienza e, come ogni scienza, si basa su evidenze oggettivamente misurabili.
In altre parole, se due persone osservano lo stesso fenomeno devono poter arrivare alla stessa conclusione. E ciò è possibile solo se c’è qualcosa che nessuna delle due persone può contestare: i dati ossia i numeri oggettivi.
Ecco un esempio molto concreto che ti aiuterà a comprendere meglio l’importanza della misurazione:
Giovanni (nome di fantasia) ha un comportamento problema: lancia oggetti per aria.
Una volta individuata la funzione di questo comportamento, eseguo un intervento per ridurne la frequenza.
Come faccio a capire se la frequenza è diminuita a seguito del mio intervento?
Posso semplicemente basarmi su una impressione generale?
E se la mia impressione è diversa da quella di un’altra persona? Come faccio a stabilire chi ha ragione e chi torto e quindi se l’intervento è stato efficace oppure no?
Semplice. Raccogliamo i dati.
In questo caso, significa:
misurare la frequenza (numero di volte/tempo) del comportamento prima del mio intervento (quella che tecnicamente si chiama “baseline”)
misurare la frequenza del comportamento dopo il mio intervento.
Se prima la frequenza era 1 volta al minuto e adesso è 1 volta ogni 3 minuti allora so che l’intervento sta funzionando e che devo continuare su questa strada per ottenere ulteriori miglioramenti.
Viceversa, se prima la frequenza era 1 volta al minuto e adesso è 1 volta ogni 30 secondi, vuol dire che quello che faccio non funziona e dovrò rivedere il mio intervento.
O ancora, se sono in grado di suddividere le misurazioni per contesti (scuola, casa, centro di terapia, ecc.), magari osservo che la frequenza è più alta in un determinato contesto e più bassa in un altro.
È molto probabile, dunque, che ci siano fattori diversi che influenzano quel comportamento e dei quali dovrò tenerne conto per un intervento più efficace.
Non raccogliere i dati, vuol dire lasciare tutto alle impressioni personali che sono assolutamente arbitrarie e non corrispondono sempre alla verità.
E questo è il peccato più grande che possiamo commettere verso una persona con autismo perché non misurando oggettivamente il risultato del nostro lavoro, non sappiamo se ciò che facciamo è efficace o meno. Di conseguenza rischiamo di commettere due gravi errori:
interrompere un intervento efficace o
portare avanti un intervento che invece risulta inefficace.
Stiamo quindi semplicemente riempendo le ore di terapia con attività più o meno divertenti senza portare la persona con autismo verso un reale miglioramento della sua qualità di vita.
FONTE:https://www.dallaluna.it
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